Chiarirsi la mente
Kusen di Roland Yuno Rech, 2 dicembre 2008
Quando si pratica zazen si ritorna costantemente alla concentrazione sulla postura del corpo, come un ritornello della pratica. Qualunque cosa capiti in zazen, si ritorna a inclinare bene il bacino in avanti, estendere la colonna vertebrale e la nuca, spingendo il cielo con la sommità del capo, la terra con le ginocchia ; si rilassano le spalle, il ventre, si inspira e si espira con calma attraverso il naso e si lasciano passare i pensieri.
Queste due o tre frasi riassumono tutta la pratica. Almeno il primo aspetto della pratica, cioè la pratica della concentrazione.
Il merito dell’effetto di questa pratica è che permette di rendere lucida la mente in breve tempo, di calmare l’agitazione mentale, di svegliarsi se eventualmente si ha sonnolenza, di ritrovare una mente calma e nitida, uno spirito disponibile, aperto, e che al tempo stesso non trattiene nulla, non rifiuta nulla, quindi si trova liberato dai veleni dell’avidità e dell’odio che portano a rifiutare ciò che ci disturba.
Tuttavia questa pratica da sola è insufficiente per dissipare il terzo veleno che è la causa di tutti gli altri, cioè l’ignoranza, la non conoscenza dell’essenza fondamentale dell’esistenza ; questa è una condizione necessaria, come si suole dire, ma non sufficiente. Senza concentrazione, senza avere la mente lucida, non si può lasciare sviluppare l’intuizione giusta su che cos’è l’essenza della nostra esistenza, ma solo concentrarsi non basta. E’ possibile certo avere un atteggiamento giusto mentre si resta concentrati - ma la causa della difficoltà a concentrarsi persiste, cioè la credenza in un ego, un « io » separato dagli oggetti e che fa tutto quello che può per rinforzarsi, rinforzare il suo sentire di esistere identificandosi a ogni sorta di cose e opponendosi ad altre ; e quindi, che funziona principalmente discriminando e aiutandosi con concetti, nozioni, che costruisce e che lo aiutano a spezzare la realtà in entità che si spera di potere prendere o rifiutare a seconda dei casi : prendere ciò che ci sembra buono per noi, rifiutare ciò che ci sembra negativo per noi. Si è separati dal mondo e il mondo stesso è diviso in due, in funzione delle cose desiderate dal nostro ego : il mondo buono, che ci è favorevole, il mondo cattivo, che ci è sfavorevole. E la stessa cosa vale per le persone : ci sono le persone che ci disturbano, le persone che ci piacciono, i nemici, gli amici. Con i nemici si fa la guerra, con gli amici ci si diverte, si sta bene.
Se si osserva bene cosa accade nel mondo tutto è retto da questo attaccamento all’ego e dalle sue conseguenze.
Quindi non basta concentrarsi, adottare un comportamento giusto per eliminare la radice di questa ignoranza e delle sue conseguenze. Per questo motivo il Quinto Patriarca, Konin, aveva testato i suoi discepoli, chiedendo di scrivere una poesia che esprimesse l’essenza della loro comprensione dello zen e del suo (del maestro) insegnamento.
Jinshu, che tra i discepoli era il migliore allievo, aveva scritto :
« Il corpo è l’albero del Risveglio,
lo spirito è uno specchio limpido
che bisogna pulire costantemente
per non lasciarvi depositare la polvere. »
Il giovane Eno, al quale era stata letta la poesia, aveva reagito dicendo : « Questa non è l’essenza dell’insegnamento del nostro maestro . », e a sua volta scrisse questa poesia :
« Nella vacuità non c’è albero né specchio.
Dove potrebbe depositarsi la polvere ? »
Anche se il maestro Konin fece l’elogio della poesia di Jinshu, alla fine è a Eno che conferì la trasmissione del Dharma.
La poesia di Jinshu esprime la pratica della concentrazione che è assolutamente necessaria ma non sufficiente.
La poesia di Eno, che diventerà il simbolo dello zen immediato, del risveglio immediato, preconizza l’intuizione istantanea della vacuità, che si suppone spazzi in un baleno tutti gli ostacoli. Se tale intuizione non è però accompagnata da una pratica costante di concentrazione, allora essa può rimanere solo uno sprazzo di luce nell’oscurità in cui si ricade rapidamente.
Quando si sono ascoltati molti insegnamenti di solito si è assai convinti. Che ogni cosa è senza sostanza, che l’ego non ha una realtà assoluta, permanente. In breve, si ha una certa comprensione della vacuità. Ma spesso si ha difficoltà ad attuarla. Come coi bambini quando si fanno male e si dice « non è niente » e raddoppiano il pianto e le grida : non è niente, ma ho male. Quindi io esisto. Io protesto.
Lo zen Rinzai ha optato per il metodo immediato del maestro Eno. Lo zen Soto ha optato per le due pratiche complementari della concentrazione e dell’osservazione, che conviene praticare non solo in successione ma insieme, in armonia.
La pratica della concentrazione in zazen ma anche nella vita quotidiana è la pratica che aiuta a non tradire la nostra comprensione della vacuità, a non lasciarla ad un livello intellettuale ma invece a farla entrare concretamente nella vita, ritornando costantemente alla coscienza hishiryo, che dissolve tutte le fissazioni mentali, tutti gli attaccamenti e provoca in modo naturale l’armonia con il Dharma, la vacuità, e la esprime completamente.
Nella vita quotidiana quando si incontra un ostacolo, un attaccamento doloroso si deve adottare simultaneamente la pratica della concentrazione, che aiuta a calmare il funzionamento mentale, calmare le emozioni e la pratica dell’attenzione, vederci chiaro ; vederci chiaro significa percepire che se stesso, alle prese con l’ostacolo e l’ostacolo sono senza sostanza, e persuadersene profondamente.
A questo punto la pratica diventa agevole, non c’è più bisogno di darle tanta energia, sforzo per armonizzarsi con il Dharma. Tutto diventa più naturale e spontaneo.
La naturalezza e la spontaneità non ci sono date a priori : sono il frutto di una lunga pratica, di tanta pazienza, come in molte cose. Nell’arte della calligrafia, come nelle arti marziali, il gesto giusto, lo spirito giusto, che sembrano così agevoli, così naturali e spontanei sono il frutto di una lunga concentrazione. Se non si è pronti a fare questo sforzo allora non si è pronti a entrare nella Via dello zen.
Se invece si è entrati allora conviene volere andare fino in fondo, fino alla vera realizzazione del risveglio.
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